La storia di Francesca
Benvenuti nella sezione del sito La Baita del Cuore in cui vi racconterò la mia storia, dedicata a tutti i cuori aritmici, ai cardiopatici, ma anche a tutti coloro che devono affrontare malattie croniche e degenerative.
Siamo tanti, tutti diversi, ma accomunati da una caratteristica: convivere con qualcosa che ci ostacola nella vita quotidiana, ponendoci limiti e talvolta dandoci davvero filo da torcere.
Io sono solo “nella mia pelle” e posso solo descrivere la mia personale esperienza, le mie sensazioni e le mie difficoltà. Non sono un medico, non ho la soluzione per tutti e non posso dare consigli. Cosa posso fare allora? Ispirare, motivare con l’esempio, regalare speranza. In pratica:
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Sono nata nel 1978 e il mio cuore è nato così, diverso. Nessuno se ne è accorto e la mia vita è andata avanti per moltissimi anni senza sapere quanto fossi speciale. Ogni tanto svenivo e i vari medici che mi visitavano dicevano “ha la pressione bassa, capita”. Nello sport a scuola non riuscivo a concludere allenamenti o gare campestri e l’insegnante diceva “non ci metti energia, non ti impegni abbastanza”. Nessuno si poneva domande e io che dalla nascita sentivo il mio cuore tamburellare a salti non avevo dubbi, ero fatta così. A vent’anni mi operano di tonsille e arriva il primo elettrocardiogramma di routine, tutto fuori posto, ma l’infermiere si limita a chiedere “sei agitata?” e senza curarsi di altro ripone nella cartella i pochi secondi di tracciato. Passano altri 10 anni e molti altri svenimenti (che si scoprirà poi essere sincopi), periodi di affaticamento in cui mi convincono che forse sono “solo” depressa, finché un giorno (benedetto), dopo l’ennesimo svenimento non riesco più a riprendermi. Mi ero appena trasferita a Torino e avevo un nuovo medico che, non avendomi mai vista prima, decide di prescrivermi una visita cardiologica. Inizia così, presso uno dei più grandi reparti di cardiologia della città, un lungo cammino fatto di diagnosi errate, farmaci errati e poco supporto. Parlano di ARVD e mi propongono di impiantare un defibrillatore. L’istinto mi dice che qualcosa non quadra, non sono convinta, troppe incertezze, troppi errori pregressi pagati sulla mia pelle con peggioramenti e con reazioni avverse a vari betabloccanti.
Decido così di prendere totalmente in mano la mia vita e studiare. Ho scaricato ricerche pubblicate da vari team universitari ospedalieri e ho cercato di capire cosa fosse effettivamente l’ARVD, come si comportava, cosa non mi convinceva di questa diagnosi. Ho imparato termini specifici e a leggere gli elettrocardiogrammi. Non c’erano i criteri richiesti per la diagnosi e questo mi ha convinta a dire no al defibrillatore. Però non potevo fare da sola, ci voleva qualcuno che fosse specializzato in queste malattie. Ho continuato la ricerca e l’intuizione è stata: se ho davvero questa malattia, voglio un centro specializzato in questo. Chi mi può consigliare bene, è chi conosce bene la malattia: i malati. E dove si ritrovano i malati? In associazioni specializzate, fatte da persone che vivono la stessa esperienza.
E così ho trovato su internet GECA Giovani e cuore aritmico con sede a Padova e conosciuto subito la presidente Paola, che in un baleno ha organizzato per me delle visite specialistiche presso l’ospedale di Padova e, finalmente, la diagnosi!
La mia cardiopatia è congenita (ovvero presente dalla nascita) e tecnicamente è definita tachicardia ventricolare iterattiva ad origine del ventricolo destro. Non si può escludere totalmente la ARVD a causa di una malformazione del ventricolo destro, ma non si può darne diagnosi certa perché non corrispondo ad altri criteri indicati nelle tabelle (eh sì, siamo sempre incasellati in qualche modo). Ma l’intuito non mi ha ingannata, nel mio caso non si è più parlato di impianto di defibrillatore e non prendo farmaci (anche se la flecainide aiuterebbe, purtroppo sono incompatibile). Sono passati quasi altri 10 anni e sono ancora qui. Nel mio cuore sono anche presenti un bulging e delle cicatrici verosimilmente riconducibili a una pericardite infantile e a infarti e dal mio cuore si generano impulsi elettrici errati che sono le aritmie. Negli anni le mie aritmie sono diventate moltissime e talvolta si sono organizzate, cioè hanno preso una tendenza pericolosa, così sono state trattate nel 2014 con due lunghi interventi di ablazione, il primo inefficace, il secondo parzialmente efficace. Ora sono in attesa di valutazione per un terzo intervento.
Queste aritmie non si risolvono definitivamente, ma si riformano, spesso proprio sulle cicatrici delle ablazioni stesse. Gli interventi, che fungono da “toppa sulla falla”, mi sono stati indicati anche perché non sono compatibile con i farmaci che aiuterebbero a rallentare la malattia.
La vita si trasforma
Ognuno si approccia alla vita in modo differente, anche a seconda del carattere e delle esperienze di crescita. Io ho scelto la via del bicchiere mezzo pieno. Sono un’inguaribile ottimista! Sempre? No, onestamente no, ma fondamentalmente sì. Perché come in tutti i sentieri ci sono degli inciampi, dei sassi nella scarpa, dei temporali improvvisi, raffiche di vento che sbilanciano, indicazioni sbagliate che fanno perdere la strada e incontri spiacevoli. Ma anche il sole, tutti i meravigliosi dettagli che ci circondano, l’aria fresca, le pioggerelle leggere, visi amichevoli e presenze amorevoli.
La vita, la mia vita, è proprio un sentiero di montagna e di problemi ne ho incontrati tantissimi, così come gioie e soddisfazioni. Ma era il mio cammino e ha fatto di me ciò che sono. Nel bene e nel male io sono io grazie alla mia malattia e ai miei limiti.
Oltre ai guai con la cardiopatia, ho perso quattro gravidanze, ne ho avuta una quinta extrauterina, ho subito un intervento d’urgenza per emorragia addominale e due ricoveri per corpo luteo emorragico. Ho avuto diagnosi di tiroidite di Hashimoto, di endometriosi, fibromi, polipi, angiomi vertebrali che mi causano emicranie invalidanti dalla primissima infanzia. Ho affrontato sconforto, dolore fisico costante e periodi depressi in cui mi sono isolata. Ho versato tante lacrime da riempire una piscina olimpionica e desiderato anche di non esistere più. Ho toccato la parte più profonda e oscura di me e ho avuto paura.


Cosa fare? Come fare?
Si può scegliere di reagire e agire su più fronti: rivolgersi a medici specializzati e competenti, iscriversi ad associazioni tematiche, chiedere supporto psicologico, esplorare attività complementari di sostegno come il Tai Chi, la meditazione, lo Yoga, ma anche ricordarsi che la natura può fornirci tutto ciò di cui abbiamo carenza e necessità, seguire un’alimentazione sana, non scoraggiarsi nel prendere coscienza dei nostri limiti, approcciarsi alla medicina naturale oltre a quella allopatica. Se si soffre anche di dolore cronico ci si può rivolgere ai centri del dolore presenti nei vari ospedali (nel mio caso è stato il centro del dolore Ospedale Valdese di Torino).
Mente, anima e corpo
a volte non vanno alla stessa velocità e neanche sullo stesso sentiero. Dovevo ritrovare il mio equilibrio. Una malattia si affronta meglio se si ha un emotivo solido, se si riesce ad accettarla insieme ai limiti che impone e se si riesce a entrare in sintonia con lei senza sentirsi unicamente “malati”. Noi non siamo la nostra malattia, ma siamo noi con una malattia. Chi affronta una malattia cronica dovrebbe sempre ricevere l'adeguato sostegno emotivo, perché con la diagnosi la vita cambia drasticamente.

Sempre riferendomi alla mia esperienza, si fa come sulle montagne: si va su e si va giù, ma si continua. Già con la diagnosi di tiroidite avevo letto delle pubblicazioni su internet della dottoressa Francesca Violi, psicologa specializzata tra le varie cose in ecobiopsicologia e ho deciso di contattarla per affrontare le mie problematiche anche dal punto di vista psicosomatico. Il percorso fatto con lei è stato preziosissimo, di grande crescita personale e di enorme supporto. E a tratti continua, perché la malattia cambia e l’impatto nella mia vita cambia.
Ho fatto anche alcuni brevi percorsi tramite i centri ospedalieri dedicati di Torino, tra cui EMDR e terapia cognitivo comportamentale, parzialmente utili nel mio caso, ma comunque disponibili tramite il servizio sanitario e quindi importanti per ogni malato.
E poi?
Pratico Tai Chi da tanti anni (è così che ho conosciuto mio marito) e questo mi permette di restare molto nel presente e a contatto con il corpo e il sentire, ho imparato ad ascoltare sempre di più il mio corpo e cosa posso fare e cosa no (anche se a volte la mia iperattività prende il sopravvento e penso di essere wonder woman, quindi inciampo e devo riconoscere gli errori, ristabilire un nuovo equilibrio). Si dice “al cuor non si comanda” e per la mia malattia non c’è frase più azzeccata! Comanda lui, sempre lui: ci sono giornate in cui non riesco neanche a muovere un passo e giornate in cui mi sembra di poter spostare montagne, ma devo ricordarmi di non farlo perché altrimenti stramazzo a terra. Ci sono giorni in cui riesco a riposare senza avere la sensazione di fuochi d’artificio in tutto il torace perché il mio cuore è meno aritmico e giorni in cui mi è difficile persino addormentarmi tanto è il baccano che fanno le aritmie.

Non ho smesso di fare i controlli periodici all’ospedale di Padova, sempre supportata dalla GECA e presto attenzione ai pareri dei medici competenti, ma se ho un dubbio ho imparato a esprimerlo chiaramente e chiedere approfondimenti: l’ascolto deve essere reciproco perché il malato vive nella sua malattia e sa bene cosa il corpo comunica. (Qui apro una parentesi per me importante da condividere: è da sottolineare che, come in tutti i mestieri, anche nel mondo medico ci sono persone competenti e disponibili e persone assolutamente incompetenti e arroganti; che piaccia o no alla categoria sentirselo dire, i medici non sono tutti uguali, non sono tutti eroi, non sono tutti sostenuti dalla passione. Imparare a riconoscerli, fare domande pertinenti, seguire l’istinto e prendere responsabilità per se stessi è il nostro personale compito. Non possiamo delegare a nessun altro questo aspetto importante, che spesso ci salva la vita. Bisogna ascoltare, avere rispetto, confrontarsi nelle varie decisioni, mai fare unicamente di testa propria, ma essere sempre presenti per se stessi. Di medici incompetenti ne ho incontrati abbastanza, ma per fortuna ne ho incontrati anche di molto competenti e disponibili. Molto raramente ho incontrato medici che con grande umiltà ammettono i limiti della scienza stessa, senza però demordere nella ricerca. Ancora più raramente ho incontrato medici disponibili all’ascolto e a vedermi come persona con la mia malattia, invece che vedere solo la malattia. In ogni caso sono grata a tutti quelli che hanno incrociato il mio cammino anche in negativo, perché hanno creato l’opportunità di farmi arrivare dove sono).
Perché spesso per un malato è più difficile chiedere aiuto?
Saper chiedere aiuto è una capacità, un dono. Accettare l’aiuto e lasciarsi aiutare è anche una bella caratteristica. Essere disponibili e saper aiutare è un’altra capacità ancora. A volte si hanno tutte e tre le capacità e si fa jackpot, ma quando c’è eccedenza o carenza in una o più di queste, allora è un guaio…
A me mancano le prime due! O meglio, sono decisamente latitanti, vanno riscoperte e molto allenate. Questa esperienza della Baita del Cuore e l’idea del crowdfunding sono un esercizio impegnativo per me: ho la tendenza a non chiedere aiuto. Perché non voglio disturbare, perché mi vergogno a chiedere, perché purtroppo sono cresciuta con l’idea che devo arrangiarmi da sola.
Questo condizionamento mi porta ad essere in difficoltà con le relazioni interpersonali e talvolta la mia indipendenza e autonomia possono decisamente irritare. Ecco quindi che la malattia mi ha dato un’altra opportunità: imparare a chiedere aiuto e ad accettare l’aiuto. Sono ancora in apprendistato :))
In molti casi chi affronta una malattia impattante si sente molto in difficoltà o in difetto con il mondo esterno, proprio a causa dei limiti che deve gestire. Si può tendere a compensare sminuendo la propria difficoltà oppure non si è capaci di chiedere l’aiuto nel modo giusto, perché non abbiamo ben chiaro come le altre persone potrebbero effettivamente darci supporto. Gli altri non possono sapere come ci sentiamo o cosa viviamo quotidianamente e non possiamo pretendere che lo comprendano, soprattutto se la malattia è invisibile agli occhi poiché “interna”, come molte malattie croniche. Per contro si deve fare attenzione a non andare nello spazio opposto e richiedere o aspettarsi perenne aiuto, ascolto, o annichilirsi, avere pretese ingiustificate o far pesare agli altri la propria malattia lamentandosi costantemente e creando sensi di colpa.
Abbiamo il nostro destino e dobbiamo prendercene cura.
Io eccedo verso il non chiedere mai e voler aiutare troppo e, anche se non riesco ancora a dare sempre il buon esempio, posso sperare di dare ispirazione per essere migliori. Un passo alla volta il cammino inizia quando si riconosce di avere un problema che disturba il normale svolgere della vita e la comunicazione, che limita la crescita e che toglie invece che dare.
Voler aiutare, essere disponibili, offrirsi sempre per fare, è sì molto bello, ma senza una contropartita che bilanci (ovvero saper chiedere e accettare) tutto va a rotoli. Com’è difficile a volte cambiare, ma si deve tentare lo stesso e essere consapevoli che ci vuole tempo, che potremo venire fraintesi, che sbaglieremo ancora tanto e tante volte e avere pazienza. Se sapessimo già fare tutto e fossimo super equilibrati saremmo degli illuminati!
Io sono lontana dall’essere illuminata, ma posso provare ogni giorno a perseguirne il sentiero, tentare di migliorare per me stessa, per stare meglio. Il mio invito è proprio questo: avere la tenacia, il non mollare anche quando si vorrebbe, accettare che tutti sbagliamo e va bene anche così: è sufficiente riconoscerlo e tentare di non perseverare nell’errore, ma accogliere il cambiamento.


Cambiamenti
Eccoci di nuovo alla Baita del Cuore. Il progetto di tornare a vivere a contatto con la natura è maturato negli anni ed è un bel cambiamento. Non tutti amano questo tipo di vita e non tutti possono farlo o sono adatti a questo stile, quindi l’ispirazione e la motivazione che vorrei dare attraverso la mia esperienza e il mio esempio è quello di non perdersi d’animo, di essere tenaci e di continuare a coltivare sempre i propri sogni anche quando siamo disperati.
Quasi mai le cose vanno esattamente come vorremmo e chissà la vita cosa ci riserverà. In ogni caso impegnarsi per raggiungere una meta godendo degli insegnamenti del viaggio è sicuramente il vero obiettivo di ogni sogno, desiderio, progetto.
Il nostro sogno, come descritto anche alla pagina di Eppela e su questo nostro sito, è poter vivere in modo autosufficiente alla Baita del Cuore e da qui aprirci alla condivisione per essere d’aiuto.
Relativamente all’idea di essere di ispirazione e di motivazione per chi, come me (e con me mio marito Marco), deve affrontare una cardiopatia o una malattia cronica e degenerativa, questa mia pagina vuol essere un atto concreto di condivisione profonda. Ho scritto con il cuore e con il ricordo di quello che avrebbe aiutato me poter leggere agli inizi, quando ancora brancolavo nel buio e mi sentivo sola.
Chiunque voglia scrivermi può farlo a info@labaitadelcuore.it
Cercherò di rispondervi personalmente.
Risponderò ai temi e alle domande principali attraverso dei video che potrete visualizzare sul nostro canale YouTube, al quale potete iscrivervi fin da ora per restare aggiornati sui progressi del progetto.
Grazie per aver letto la mia storia. Grazie per il vostro supporto!
Nessuno è solo, ma si deve sapere che gli aiuti ci sono, le possibilità ci sono.

La Baita del Cuore si trova in Località Albone Groscavallo
in Val Grande (Alpi Graie) a circa 60 km da Torino
per informazioni info@labaitadelcuore.it